• L’intervista Giacinto Colucci (COG srl)

«Aziende più sicure degli ospedali: bisogna riaprirle, almeno una parte»

«La gestione dell’emergenza sanitaria rischia di dare un colpo mortale al futuro produttivo italiano. Ci aspettiamo fatti concreti. Per ora non è così». Giacinto Colucci, titolare della COG srl, azienda leader nella produzione di radiatori nata nel 1990, situata nella zona industriale di Lecce e che dà lavoro a 140 operai, non nasconde la sua preoccupazione e per questo ha chiesto al Prefetto di poter riprendere, se pur parzialmente, l’attività in fabbrica e, da una settimana, gli operai sono tornati.

Colucci, da cosa è nata questa richiesta?
«Siamo un’azienda che produce manufatti indispensabili per la logistica, la manutenzione, i trasporti con prodotti realizzati da imprese che, invece, sono considerate indispensabili. Siamo fornitori di una filiera importante e abbiamo chiesto di poter riprendere a produrre per quelle società che già sono aperte e che hanno bisogno dei nostri materiali. Per le altre ovviamente non abbiamo manifestato disponibilità».

Avete dovuto mettere a punto delle tutele per i lavoratori?
«Per forza. Anche nei giorni della chiusura avevamo qualcuno presente per garantire lo smart working, adesso però è cambiato tutto: misuriamo la temperatura all’ingresso, facciamo turni sfalsati, abbiamo sistemato i lavoratori a distanza di oltre due metri e ovviamente abbiamo programmato sanificazioni periodiche».

C’è un timore che questo possa essere un colpo mortale al sistema produttivo nazionale?
«Molte aziende per le quali siamo ritornati a produrre hanno mostrato apprezzamento. Tenga presente che siamo operativi in più di 40 paesi dove non c’è il lockdown. È chiaro che questo è il vero nodo centrale, che rischia di minare il valore delle aziende perché c’è la seria possibilità di poter essere sostituiti. Qualche giorno fa Confindustria tedesca ha scritto all’omologa italiana invitando il Governo ad agire, sottolineando che c’è una interdipendenza tra il sistema produttivo delle due nazioni europee».

Come valuta le misure messe in campo per sostenere l’economia?
«Purtroppo, devo dirle che ci sentiamo poco sostenuti, in alcuni casi anche abbandonati a noi stessi. Fare degli annunci senza tramutarli in azioni, è una sconfitta. Mancano le norme attuative, si rischia che siano pochi i beneficiari. Sfido chiunque a dimostrare che negli ultimi decreti le promesse siano state mantenute. Lo sappiamo anche dagli istituti finanziari che, a più riprese, hanno confessato di non sapere come muoversi. C’è il solito problema della burocrazia».

Per lei è indispensabile riaprire al più presto?
«Premetto che di fronte ad un problema che mette in crisi la salute e la vita delle persone, non ci sono eccezioni che tengano. Però, al netto dei rischi, esistono delle aziende che potrebbero riaprire. Dico di più: in questo momento in Italia i luoghi più sicuri sono quelli produttivi, non certamente gli ospedali. Se non si riapre al più presto, cercando di garantire la sicurezza dei lavoratori, c’è il rischio del tracollo. I calcoli sono semplici. Con un fatturato di 180 miliardi al mese in fumo, il sistema Italia non può permettersi di restare al palo. Non solo si perdono i clienti, ma si sprecano risorse pubbliche e c’è bisogno di maggiori economie per gli ammortizzatori sociali. Anche perché c’è un paradosso in tutta questa vicenda».

Quale sarebbe?
«Si chiudono le aziende, ma si lasciano operativi i trasporti pubblici, in particolare nel Nord Italia dove il pendolarismo è diffusissimo. Si riaprano le aziende e si faccia come per i supermercati: si entra, si sta a distanza e si lavora».
Questa emergenza insegnerà qualcosa al sistema produttivo?
«Di certo cambierà il modo di lavorare, ci sarà un approccio diverso. Può essere questo l’aspetto positivo. Ci eravamo abituati con delle certezze che sono crollate con l’arrivo del virus. Abbiamo dovuto ripensare noi stessi, nel lavoro e nel sociale. Forse la vita umana diventerà prioritaria. La normalità sarà un’altra cosa».

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